Il tuo carrello è attualmente vuoto!
Azimi mielati o cazzi malati o ‘mpalati. Videoricetta
Azimi mielati o cazzi malati o ‘mpalati: una ricetta che va scomparendo: un dolce povero, tipico del periodo della vendemmia. La sera, dopo aver pigiato l’uva, si prelevava qualche litro di mosto e si impastavano questi tarallini.
Qualche tempo fa, scorrendo facebook, ho avuto un mancamento. Trovo un post in cui una mia amica virtuale, molto in gamba, cercava “cazzi malati”, scritto proprio così, tra virgolette. Sono saltata dal divano.
Leggo subito i commenti alla ricerca di una spiegazione: sono dolci. In rete ne scopro l’origine: ricetta tipica irpina della zona di Venticano, Taurasi, Bonito, Mirabella, Grottaminarda, Ariano Irpino e sicuramente altri paesi ancora.
La mia curiosità aumenta, insieme alla voglia di divertirmi trovando qualche signora della zona disposta a girare un video con me!
Questi dolci vengono quindi preparati impastando farina e mosto in ebollizione, formati a tarallini e bolliti ancora nel vino cotto, insieme a qualche fetta di mela cotogne.
Si, va bene, penso, ma da dove deriva il nome? Da maliziosa quale sono, avevo pensato ad una forma che potesse in qualche modo evocare la parola chiamata in causa!
Macché, la spiegazione è bellissima: una storpiatura del nome originario “azimi mielati”!
Un dolce legato alla vendemmia
Sono scoppiata a ridere da sola. Velocemente ho collegato la preparazione degli azimi al periodo della vendemmia. E che cosa si può immaginare di più bello dell’allegria che ancora oggi si diffonde tra i contadini durante la raccolta?
Vivendo in campagna, ho partecipato anch’io. Si formavano delle squadre poiché ci si aiutava a vicenda. Oggi da te, domani da me, dopodomani da un altro. Mi ricordo che era un continuo cicaleccio dal mattino presto alla sera tardi, le voci che si rincorrevano da un filare all’altro, le risate, gli sfottò.
Scherzavano tutti e si prendevano in giro a vicenda. Tra di loro non c’era imbarazzo, ed anche i doppi sensi erano gioiosi e privi di qualunque vergogna. Appartenevano al loro modo di vedere la vita in maniera semplice, concreta e diretta. Pane al pane e vino al vino.
Perciò ho immaginato che questi “azimi mielati” siano diventati “cazzi malati” proprio in un contesto come questo. Tra gente semplice e perbene, schietta e sincera, che attribuiva alle parole il giusto peso! Un mondo dove la forma non aveva ancora cambiato le persone!
E di nomi allusivi dati alle ricette se ne trovano in ogni parte d’Italia: le tette delle monache (di cui ho fatto anche la video ricetta) dette anche “sise” in un’altra regione, le minne di Sant’Agata, cazzilli e cazzetti e fermiamoci qui!
Gli “scherzi” del mosto.
Tornando a noi, siamo stati quindi a Mirabella Eclano a casa di Rita. Avevo portato il mosto prelevato la sera precedente presso le Cantine Mastroberardino. Mi ero fatta riempiere delle bottiglie.
Stavamo disponendo gli ingredienti sul tavolo, quando, con molta disinvoltura, tolgo il tappo alla bottiglia grande! Subito un fiotto robusto e colorato esplode e, disegnando un arco, mi sfiora la testa, profumando me e sporcando la cucina. Peccato non averlo ripreso. Sono stata pronta a calare il palmo della mano sul collo della bottiglia ma ormai il danno era fatto!
Insomma, è stato un pomeriggio movimentato e divertente ed anche noi abbiamo scherzato con i doppi sensi. Ad una certa età è concesso!
La ricetta è semplicissima ed ha per noi un significato speciale: recuperare la memoria e tramandare una tradizione.
Ingredienti
- 3 – 4 litri di mosto, prelavato e conservato in frigo in un contenitore senza coperchio o tappo
- 500 g di farina
- 2/3 mele cotogne.
Si fa bollire il mosto, si schiuma e se ne prelevano 400 g circa per impastare i tarallini. Poi lo si fa ridurre di un terzo e quindi si versano insieme tutti i tarallini e le fette di mela. Si fanno bollire per circa dieci minuti e si servono accompagnati dal vin cotto.
Anticamente se ne facevano delle belle quantità, che venivano conservate nei vasetti ricoperti di vino cotto come provvista dolce per l’inverno.